giovedì 18 luglio 2019

Bleed Again - Transition (2019)

Non è facile, al giorno d’oggi, suonare metalcore. Non è solo una questione di tecnica, che pure è necessaria in buona misura anche per affrontare le sue branche più semplici. Soprattutto, è che vista l’esistenza ormai pluridecennale del genere, è diventato molto più semplice suonare banali che riuscire a dire qualcosa di proprio. Ma per fortuna, c’è ancora chi ci riesce: è il caso dei Bleed Again. Band inglese attiva dal 2008, ha da allora pubblicato un full-length, Momentum del 2017, e quattro EP: l’ultimo di essi, Transition, risale allo scorso 19 aprile. Al suo interno, il gruppo affronta un metalcore melodico con qualche influenza alternativa, che comunque non ne snatura la base; è un suono senza nulla di nuovo, ma i Bleed Again riescono lo stesso a fare bene. Merito in primis della loro capacità di imbeccare le giuste melodie e il giusto contrasto con le parti più potenti: in effetti, si sente bene che Transition non è stato creato da una band alle prime armi, ma da una matura e con le idee chiare. Sì, è anche vero che gli inglesi non sono immuni da qualche ingenuità a tratti, il che ha il risultato di rendere l’EP un po’ ondivago: alcuni pezzi sono ottimi, ma altri no. Tuttavia, è un difetto da poco per un lavoro che rimane interessante, anche nella sua estrema brevità!

Le danze partono da Transitioning: intro di rito, comincia con un arpeggio preoccupato di chitarra pulita, su cui poi interviene anche quella distorta, che rimane però in sottofondo. Piuttosto, i toni rimangono espansi, crepuscolari, il che lo rende il perfetto preludio per The Awakening, che poi riprende lo stesso nervosismo in un avvio distorto ma espanso. Dura però pochi secondi, perché presto la band parte con cattiveria, col suo riffage vorticoso e grasso: torna ogni tanto, seppur di norma il brano sia più cadenzato e orientato al metalcore. Lo sono sia le strofe, pesanti e rabbiose con anche l’urlato di James Dawson, sia i bridge, esitanti e di tono pulito, sia i ritornelli, riottosi e diretti al punto giusto. Sia i primi che questi ultimi funzionano bene, ma i secondi sembrano fuori posto come raccordo, un po’ stonati col resto: per fortuna sono brevi, e non danno troppo fastidio. Buona anche la parte centrale, divisa tra una prima frazione di nuovo espansa, una seconda che torna all’impatto dell’inizio e una terza cadenzata, quasi di influsso death/thrash metal, prima di sfociare in un assolo ombroso come il resto. È un elemento più che discreto per un episodio che anche col suo difetto si difende, e pur non impressionando tantissimo si lascia ascoltare con piacere. Ma è una storia diversa con Out of Time, che comincia da uno strano suono cadenzato, come un orologio ma molto lo-fi e caotico. Dà il ritmo a un pezzo che poi entra nel vivo piuttosto melodico, con chitarre nostalgiche prima espanse ma poi dense, un florilegio con un gran pathos. È quello che regge anche i refrain, in cui il frontman passa a un pulito sofferente: anche questo contribuisce a dar loro un grandissimo spessore emotivo. Più spoglie e rabbiose sono invece le strofe, da tipico metalcore: forse si rivelano persino un po’ banali, ma come contraltare per l’altra anima funzionano a meraviglia. Lo stesso si può dire del breakdown centrale, a metà tra influssi melodici e altri alternativi, per un ibrido che coinvolge bene nel suo dolore; ancor meglio da questo punto di vista è la chiusura, più calma e molto sofferta. Introduce al meglio un nuovo ritornello, anche più drammatico che in passato: è il gran finale di un pezzo splendido, uno dei picchi assoluti del disco.

Sick parte con un intro pseudo-sinfonico, che anticipa la melodia su cui poi il pezzo si muoverà in seguito. Almeno, lo faranno i chorus, forse il momento più esplosivo che i britannici ci propongano qui: la melodia è davvero catchy, e colpisce in maniera quasi lacerante, pur nella sua semplicità. Più vorticoso e arrabbiato è invece il resto: tende a variare più che in precedenza, tra controtempi cadenzati, momenti più dinamici e arrabbiati e altri in cui i chitarristi Chris Pratt e Simon Williams dimostrano il loro grande impatto. Il meglio che i Bleed Again ci propongano è però il contrasto tra le due anime, che valorizza entrambe in un bellissimo gioco di chiaroscuri; lo stesso si può sentire nella sezione centrale, classica per il genere e breve, ma riuscita tra i toni più cupi e quelli più melodici. È quanto basta a una canzone breve e semplice per essere meravigliosa, il meglio che Transition abbia da offrire insieme alla precedente! A questo punto, l’EP è agli sgoccioli: c’è rimasto spazio solo per Failure, pezzo con cui la band inglese sperimenta sonorità un po’ diverse. Rispetto al suono metalcore delle altre, il tutto è più aperto e più lineare, avvicinandosi molto più degli altri all’alternative metal. Lo si sente bene già dall’attacco, strano e obliquo, da cui poi esplode un riff espanso, quasi doomy per impostazione. È lo stesso che si ritrova sotto ai ritornelli, potenti e arrabbiati al punto giusto, grazie a Dawson che sfodera un bel cantato arrogante e imperioso. Anche le strofe si conformano all’essenza generale: sono strane, con melodie quasi dissonante alle spalle di un riff stavolta per nulla ritmato, dritto invece al punto: sono carine, ma sono un po’ scialbe, e non colpiscono molto rispetto al resto. Ma non è una questione stilistica: anche il momento al centro, quello più in linea con quanto sentito fin’ora non ha un grandissimo appeal, anzi tende a suonare anonimo. Nonostante qualche breve spunto, soprattutto a livello di melodie, abbiamo perciò il pezzo di gran lunga meno bello dell’EP, nonché un esperimento non del tutto riuscito.

Per concludere, Transition non sarà eccelso, ma il suo valore è molto buono, e invoglia a scoprire gli altri dischi pubblicati negli anni dai Bleed Again. Di sicuro, se la qualità media è la stessa presente qui, non potranno che essere ottimi esempi di metalcore melodico: se ti piace il genere, perciò, il mio consiglio è di concedere almeno un ascolto agli inglesi!

Voto: 71/100 (Voto massimo per gli EP: 80)

Mattia

Tracklist: 

  1. Transitioning - 01:02
  2. The Awakening - 03:38
  3. Out of Time - 03:47
  4. Sick - 03:32
  5. Failure - 03:39
Durata totale: 15:37

Lineup:
  • James Dawson - voce
  • Sam Jones - voce e basso
  • Chris Pratt - chitarra
  • Simon Williams - chitarra
  • Russell Plowman - batteria
Genere: metalcore
Sottogenere: melodic metalcore
Per scoprire il gruppo: il sito ufficiale dei Bleed Again

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