giovedì 5 luglio 2018

Lorø - Hidden Twin (2018)

“Che botta!”: volendo sintetizzare al massimo, bastano queste due parole per descrivere Hidden Twin, secondo album dei Lorø. Nati a Montagnana (Padova) nel 2013, hanno esordito due anni dopo con un album omonimo, in cui affrontavano un suono strano, contorto, tecnico, difficile da definire. Questo secondo lavoro, uscito lo scorso primo marzo, rappresenta un’ulteriore svolta,  con cui i Lorø hanno cambiato le carte in tavola e evoluto di molto il proprio stile. La base del suono che anima Hidden Twin rimane il math rock sperimentale delle origini, ma i veneti hanno lasciato la pulizia e l’ordine di Lorø per un’anima più pesante, aggressiva e cupa. Oltre a influenze alternative e post-hardcore, è soprattutto una rabbiosa componente sludge metal a spiccare: i padovani riescono a integrarlo bene in uno stile molto lontano, con cui di solito non si mescola. Allo stesso scopo servono i tanti passaggi di pura tecnica che costellano Hidden Twin, con cui i Lorø non vogliono stupire come tanti altri: sono sempre funzionali all’aggressione sonora perpetuata dal trio veneto. Il tutto è frullato in un calderone di gran oscurità, pesantissimo e spesso nichilista, un muro sonoro caotico in maniera studiata, che non perde mai la strada. Merito anche del gran songwriting che i Lorø possono vantare: ogni dettaglio è bene al suo posto, e ogni canzone ha qualcosa da dare – che sia l’atmosfera, la violenza sonora o qualche rara melodia dissonante presente qua e là. Il risultato è che Hidden Twin macina veloce i suoi trentadue minuti di durata, e lascia una grande sensazione: parliamo di un vero e proprio gioiello, come leggerai nel corso della recensione. 

Low Raw comincia subito col suo riff di base, rutilante e circolare. All’inizio è in solitaria e sembra solo dissonante, ma poi l’aggiunta del roboante basso – o forse sono le tastiere di Mattia Bonafini, distorte all’inverosimile – e  il ritmo sfrenato del batterista Alessandro Bonini gli aggiungono un impatto incredibile. È una norma macinante che va avanti e devasta tutto sul suo cammino fin quasi a metà, quando la musica si calma. Ma il clima non è tranquillo: merito di melodie lontane ed echeggiate, che danno al tutto un tocco lugubre. Questa norma, toccato un punto di dilatazione, tende ad addensarsi e ad accelerare di nuovo, finché la norma iniziale non torna alla carica. È  una breve coda, che pone fine a quello che in fondo è poco più di un intro, ma già molto esaltante: lo includerei addirittura tra il meglio dell’album che apre! Un breve campionamento con una voce che cita un aforisma di Chuck Palahniuk, poi Choke entra nel vivo meno scatenata della precedente. In compenso, è presente un aura’cupa, asfissiante come dice il titolo: merito del riffage di base, contorto e malato, di chiaro stampo sludge/doom metal. Per diverso tempo la traccia mantiene queste coordinate, lente e circolari: c’è però spazio anche per dei momenti di fuga, più dinamici ma per nulla vitali. Evocano anzi un senso di disperazione, di insensatezza, di malattia, grazie anche allo scream rabbioso di Riccardo Zulato, quasi da black metal; lo stesso vale per il resto del brano, nelle sue molte variazioni. Spicca tra queste la parte finale, martellante col suo tempo dispari, il che aiuta di molto l’oscurità evocata dagli echi vocali e sintetici. È un altro tassello per una canzone non tra le migliori dell’album, ma di livello molto elevato!

Last Gone comincia da un riff ossessivo, circolare, quasi monocorde – ma non in senso negativo – presto accompagnato da una lontana tastiera e poi dalla sezione ritmica. È l’inizio di un pezzo che all’inizio mantiene la stessa impostazione, seppur con diverse variazioni: talvolta diventa più lontano, alienato, con tanti echi elettronici e in parte post-rock che fanno capolino, mentre altrove è più diretto e potente. In seguito però i Lorø deviano verso lo sludge, per frazioni più lente ma rabbiose, grazie alle dissonanze delle chitarre che a tratti ricordano gli Yob. È una lunga sezione che si fa sempre più contorta, cupa e nichilista, fino a toccare un apice: a quel punto la musica torna alle origini. Ma l’evoluzione non è ancora finita: presto il complesso torna ad aprirsi, stavolta in qualcosa di lieve, sottotraccia, rarefatto. È il punto di partenza di un’altra progressione, stavolta meno aggressiva e con persino un certo pathos – seppur un’aura oscura e opprimente non manchi, e torni fuori in chiusura, feroce e graffiante, sempre più vorticosa fino alla fine. È la conclusione di un pezzo meraviglioso in toto, uno degli indubbi picchi di Hidden Twin! Sin dall’avvio, la successiva Deaf’s Hymn è rabbiosa e aggressiva, con un altro riffage sludge grasso e pesante, ben sorretto da Bonini e corredato dallo scream distorto, spaventoso di Zulato. Per lunghi tratti, è questa la norma che regge il pezzo, ma altrove i veneti deviano verso passaggi più potenti come al centro, in cui uniscono influenze punk, metal e grunge in qualcosa di semplice ma di impatto assoluto. Altrove invece la musica diviene più strana, alienante e oscura. Ne è un esempio la lunghissima sezione finale: dura quasi metà brano, riempito di chitarre effettate, di echi e di vari campionamenti, per un effetto espanso, spaziale ma al tempo stesso oscuro, come in un bad trip. È il meglio che abbia da offrire un altro pezzo  grandioso, poco lontano dai picchi dell’album! Ma va ancora meglio con Point & Comma: ha un avvio elettronico e dissonante, degno del miglior industrial, da cui però presto la musica si stacca per cominciare un’evoluzione rapida e inaspettata. La struttura è in moto perpetuo, alterna momenti più sottaccia e macinanti ad altri invece roboanti, con in evidenza un riffage alternative esplosivo, semplice ma di gran efficacia con la sua natura grassa, fragorosa. Quest’ultimo zigzaga spesso anche nel resto del brano, seppur con tante variazioni che lo fanno apparire sempre nuovo e mai noioso. In generale, la musica fluisce bene in ogni frazione: tutte, da quelle più dinamiche a quelli lente e distorti, d’atmosfera, funzionano a meraviglia, e ogni membro dei Lorø si mette in mostra al massimo delle sue possibilità. È questo a rendere questa strumentale eccelsa, nonché un altro dei picchi dell’album!

Hidden Twin si riattacca all’outro veloce e nervoso ma acustico della precedente e si mostra lentissima, quasi vuota, con un arpeggio lento e molto rarefatto. Questa norma comincia a salire con molta calma solo dopo un minuto, ma all’inizio è sempre contenuto, con solo un ritmo più veloce e qualche sussurro, e anche quando sembra sul punto di entrare nel vivo, l’attacco distorto dura solo qualche secondo. Bisogna aspettare lunghi minuti perché ciò accada, quando appaiono i lontani synth di Bonafini: avanzano per qualche istante per poi introdurre una traccia lenta, potente, con la solita oscurità nichilista ben sugli scudi. A tratti questa norma è spoglia, una processione cupa, mentre altrove tornano le tastiere a dargli un tocco di alienazione in più: ciò succede in special modo nel finale, vorticoso e obliquo, con pelo di pathos ma anche tante dissonanze. Ottima anche la frazione di tre quarti, l’unica davvero veloce di un pezzo di media lento: si integra però bene in questo nuovo strumentale, che dura oltre sette minuti ma non annoia mai, né stona pur seguendo il precedente, anzi. Il livello è ancora ottimo, a poca distanza dal meglio del disco a cui dà il nome! A questo punto, Hidden Twin è ormai alla fine: c’è rimasto spazio solo per Inerxia, Drive Me as Only You Can Do, che ci mostra un altro lato dei Lorø. Lento e strisciante, cupo, ricorda l’alternative metal, ma in una versione lo-fi, molto più espansa del normale. È la norma che regge buona parte delle strofe: anche più sporche, con un influsso metalcore ben presente, vanno avanti a lungo in maniera strisciante, rabbiosa, stridente. Si aprono solo per tratti più potenti ed estroversi qua e là, che lasciano in parte le suggestioni precedenti per qualcosa di energico, dissonante, di gran potenza. Bella anche la seconda metà, che svolta su toni divisi tra l’anima già sentita e qualcosa di espanso, con di nuovo influssi post-rock ma a tratti addirittura black metal, specie nei momenti più vorticosi e rapidi. In ogni caso, il tutto è mescolato molto bene, sia a livello musicale sia di atmosfere, che passano da una sfumatura più calda, disperata, a una più rabbiosa in breve, senza spigoli. È la parte migliore di un episodio tutto di qualità eccelsa: pur non essendo tra i migliori del disco, come chiusura è più che adeguata!

Volendo trovare il proverbiale pelo nell’uovo, un difetto Hidden Twin ce l’ha: la durata. I suoi trentadue minuti volano davvero troppo veloci, e al termine ne vorresti di più: per questo, sono convinto che con un altro paio di canzoni avrebbe potuto addirittura raggiungere la perfezione. Ma in fondo sono questioni di lana caprina: anche così parliamo di un vero capolavoro, apprezzabile da chiunque ami la musica al tempo stesso aggressiva e sperimentale. Se lo sei, quindi, fatti un favore: tieni d’occhio i Lorø, e scoprirai una delle band italiane più interessanti degli ultimi anni!

Voto: 94/100

Mattia

Tracklist: 

  1. Low Raw - 02:58
  2. Choke - 02:49
  3. Last Gone - 06:01
  4. Deaf's Hymn - 04:27
  5. Point & Comma - 05:31
  6. Hidden Twin - 07:13
  7. Inerxia, Drive Me As Only You Can Do - 03:23

Durata totale: 32:22

Lineup:


  • Riccardo Zulato -voce e chitarra 
  • Mattia Bonafini - synth 
  • Alessandro Bonini - batteria

Genere: sludge metal/math/alternative rock elettronico/sperimentale
Per scoprire il gruppo: la fanpage Facebook dei Lorø

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